domenica, marzo 25, 2007

Ribellarsi è giusto


Ribellarsi è giusto (dalle note di copertina di Suonarne 1 x educarne 100)di Daniele Sepe
Ribellarsi è giusto. In questi ultimi decenni è un assunto messo in discussione dallo stato dei fatti. Censurato,
esiliato in un altro pianeta. Nella mente della stragrande parte della gente l’ arroganza del potere economico e
politico può essere messa in discussione per lo più con pacifiche dimostrazioni di massa o allegri girotondi, o
alla meno peggio mettendo un segnetto su questo o quel candidato al teatrino della politica.
E anche a questo il potere spesso reagisce in maniera violenta. Negli anni settanta non era precisamente così.
Tanto per cominciare la mattina andavi all’ edicola sotto casa e potevi scegliere tra ben tre quotidiani che non
si rifacevano all’ area della poitica parlamentare: Il Quotidiano dei Lavoratori, il Manifesto e Lotta Continua.
Per non parlare della miriade di riviste che proliferavano: Rosso, Controinformazione, Anarchismo, Vogliamo Tutto,
Metropoli, Senza Tregua. E poi il fumetto: da Linus a Cannibale, da il Male a Ken Parker. Altri tempi, basti
ricordare le vignette sul papa che il Male ci regalava, oggi sicuramente passabili della più truculenta censura.
Di sicuro c’ era di che leggere, altro che Men’s health o il Denaro. Tutto questo rifletteva una realtà in cui la
politica, o meglio l’etica, aveva un importanza che permeava anche i rapporti personali. Ne traevano beneficio il
potere d’ acquisto dei salari o la condizione della donna.
E i salari tenevano in un epoca di congiuntura come e peggio di quella attuale (state certi che nessun padrone né
azienda vi verrà mai a dire che essendo aumentato il fatturato conseguentemente vi aumenterà lo stipendio, “loro”
sono sempre alla fame o vicini al tracollo finanziario....). I manicomi si chiudevano e le caserme si svuotavano.
Finiva la guerra in Vietnam o l’occupazione coloniale in Angola, spariva la dittatura in Portogallo e in Grecia.
Si ascoltavano gli Area e Alturas degli Inti Illimani finiva in classfica. Il mondo alla rovescia, se allora
dicevi che una cosa era “commerciale” significva che era da evitare o anche da bruciare (lo sanno bene le
malcapitate bands yankee che tourneggiavano da queste parti), oggi “commerciale” vuol dire che stai per entrare
nel club dei milionari e che sei uno “sfaccimmo”.
Tutto questo qualcuno, successivamente, lo definì “gli anni di piombo”. Ma per chi? Forse per il potere più
retrivo e bigotto, la destra dei Saccucci o dei Tanassi, degli Andreotti o dei Pirelli, o di Romiti, che
invocavano il Cile e i colonnelli contro l’aria di rivolta che si respirava nelle piazze e nelle fabbriche. La
reazione di questa destra fatta di attentati, stragi, omicidi, suicidi sospetti, massacri, violenze inaudite sulle
donne (come quella del Circeo…) alimentavano in molti il timore che un colpo di stato in Italia ci potesse essere
davvero.Forse è per questo che intere sezioni del PCI si trovarono dopo qualche anno a essere arrestate per banda
armata. Non era raro trovare militanti delle BR iscritte al sindacato o al partito.
Non sono cose di cui oggi gli excomunisti amano parlare. Molto meglio seppellire tutto sotto l’ epiteto “di
piombo” e fare finta che c’ erano solo quattro esaltati che pensavano di stare in Irlanda o in Palestina. Ma non
era così. L’ occupazione dell’ università di Bologna, la manifestazione del 12 marzo di Roma, i blindati e i
carrarmati per le strade portati dall’ allora ministro degli interni Cossiga furono probabilmente il culmine di
tutto il movimento di quegli anni. Poi lo scontro si fece più duro, selettivo e feroce. Fa impressione però vedere
su wikipedia, l’ enciclopedia in rete, nel macabro conteggio delle vittime di quegli anni, che il solo massacro di
Ustica, strage coperta da un buon numero di generali e ammiragli dello stato italiano, supera e pareggia i morti
per mano delle organizzazioni armate presenti allora in Italia.
Non cambia niente, ma non accetto lezioni da chi ancora oggi siede sulle poltrone del Parlamento e a distanza di
decenni non ha pagato per i crimini di stato commessi o coperti allora. E non è un caso che lo stato, in
particolare la democrazia cristiana e il partito comunista, non fece per Moro quello che poi fece per un Cirillo.
Lo scontro diventò disumano, si passò ad un confronto esclusivamente militare suicida e fine a se stesso. Non poca
responsabilità in questo l’ aveva l’ importanza che i media, la nascente televisione privata, la necessità dell’
apparire più che dell’ essere cominciavano a conseguire. Il movimento si polverizzò e tutto finì in un rifiuto
della politica e dell’ etica, che sfociò negli anni ‘80 dei paninari e dei Craxi e soprattutto dell’ eroina. Piano
piano siamo arrivati a oggi: gli “anni dello stronzio”.
Gli anni settanta io li ho visti descritti solo in brutti film, pieni di grigiore e paura, per lo più fatti da
signori che all’ epoca militavano nella FGCI. E che ricordo possono mai avere loro di allora? Io ricordo ben altre
cose. L’ autoriduzione, l’ esproprio, la chiusura delle centrali atomiche, le botte ai concerti per entrare
gratis, ma anche i film di Herzog o di Olmi, i concerti strapieni di Archie Shepp o di Luigi Nono, il teatro di
strada del Living o le azioni di artisti che si rifacevano ad una unica idea e necessità rivoluzionaria. Oggi mi
manca questo, la possibilità di sognare la rivoluzione. Questo sogno lo vedo svanito soprattutto in chi oggi ha
vent’anni e dovrebbe sentire ancora di più la necessità di rivoltare il mondo lasciatogli dai genitori. Non
abbiamo realizzato questo cd per la nostalgia dei nostri vent’ anni, ma solo perchè sentiamo la necessità di
ridare forma a termini censurati e in via di estinzione (come dopo un Congresso di Vienna, Bush e Woytila come
novelli Metternich) rivolta, ribellione, rivoluzione.
Oggi invece riprendono importanza termini che allora sembravano estinti: la religione, l’appartenenza di casta, la
razza, il sud e il nord. Il mondo sta peggio oggi di allora, basta mettere a confronto la felicità un po’
cialtrona di allora e la ricca depressione di oggi.Ribellarsi è giusto. Sempre.

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